322 research outputs found

    Lattice Boltzmann models for non-ideal fluids with arrested phase-separation

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    The effects of mid-range repulsion in Lattice Boltzmann models on the coalescence/breakup behaviour of single-component, non-ideal fluids are investigated. It is found that mid-range repulsive interactions allow the formation of spray-like, multi-droplet configurations, with droplet size directly related to the strength of the repulsive interaction. The simulations show that just a tiny ten-percent of mid-range repulsive pseudo-energy can boost the surface/volume ratio of the phase- separated fluid by nearly two orders of magnitude. Drawing upon a formal analogy with magnetic Ising systems, a pseudo-potential energy is defined, which is found to behave like a quasi-conserved quantity for most of the time-evolution. This offers a useful quantitative indicator of the stability of the various configurations, thus helping the task of their interpretation and classification. The present approach appears to be a promising tool for the computational modelling of complex flow phenomena, such as atomization, spray formation and micro-emulsions, break-up phenomena and possibly glassy-like systems as well.Comment: 12 pages, 9 figure

    Shear Banding from lattice kinetic models with competing interactions

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    Soft Glassy Materials, Non Linear Rheology, Lattice Kinetic models, frustrated phase separation} We present numerical simulations based on a Boltzmann kinetic model with competing interactions, aimed at characterizating the rheological properties of soft-glassy materials. The lattice kinetic model is shown to reproduce typical signatures of driven soft-glassy flows in confined geometries, such as Herschel-Bulkley rheology, shear-banding and histeresys. This lends further credit to the present lattice kinetic model as a valuable tool for the theoretical/computational investigation of the rheology of driven soft-glassy materials under confinement.Comment: 8 Pages, 5 Figure

    Tracce archeologiche di un terremoto tardo-antico nella Piana del Fucino (Italia centrale)

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    Il tempo di ricorrenza definito dalle indagini paleosismologiche sulle faglie dell’Appennino abruzzese è nell’ordine dei 1500-2500 anni. Pertanto, in caso di terremoto storico, di elevata magnitudo, relativamente recente (es. il terremoto del 1703 nell’Aquilano o quello del 1915 nella Marsica), l’evento sismico precedente potrebbe essere stato causato dalla stessa sorgente sismogenetica in un’epoca per cui si ha carenza di informazione storica ma abbondanza di fonti archeologiche. Per questo motivo, accanto alle ricerche paleosismologiche, tradizionalmente indirizzate alla definizione del comportamento sismogenetico di una faglia, fin dalla metà degli anni 90 furono avviate ricerche archeosismologiche, mirate all’identificazione di tracce di terremoti distruttivi su emergenze archeologiche, prevalentemente di età classica (Galadini e Galli, 1996). Gli studi archeosismologici nella regione abruzzese hanno consentito di acquisire finora informazioni sugli effetti di tre terremoti distruttivi, noti ai cataloghi sismici (es. Boschi et al., 1995), di cui due (II sec. d.C. e 484-508 d.C.) con epicentro nella regione e un altro (346 d.C.) originato in area limitrofa (Galadini e Galli, 2001; 2004). Nel 2004, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha avviato una collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo su tematiche geoarcheologiche, sia in prospettiva paleoambientale che per una migliore comprensione degli effetti delle catastrofi naturali del passato su siti archeologici dell’area appenninica. In questo ambito, è stato possibile effettuare indagini in prospettiva archeosismologica durante le fasi di scavo in alcuni siti archeologici della Marsica e della Valle Subequana, come l’anfiteatro di San Benedetto dei Marsi, la villa produttiva di Avezzano-Macerine, il tempio di Castel di Ieri, il piazzale antistante il santuario di Ercole, gli edifici prospicienti la via del Miliario e l’area del Foro ad Alba Fucens. Nel caso dell’anfiteatro di San Benedetto dei Marsi, le evidenze della distruzione sismica vengono dal crollo sincrono delle grandi lastre di pietra che delimitavano il balteo, dalla rotazione di blocchi attorno all’asse verticale, dall’espulsione di angolata in uno degli ambienti prossimi all’ingresso nord della struttura, oltre che dai crolli di ampie parti dell’edificio. Nella villa produttiva di Avezzano, ai crolli di muri di costruzione tarda si accompagnano vistose tracce di combustione, su resti pressoché integri delle travature. Le unità di crollo furono rinvenute al di sopra del piano di calpestio che era ancora in uso al momento della distruzione. La subitaneità dell’evento è testimoniata dal reperimento di una notevole quantità di materiali nelle unità di crollo stesse, a testimonianza di un abbandono improvviso, senza asportazione degli oggetti di uso comune. Ad Alba Fucens, le evidenze della distruzione cosismica erano già note grazie alle pubblicazioni relative alle campagne di scavo soprattutto degli anni 50 e 60. Le fotografie di archivio mostrano i pilastri della cosiddetta Via dei Pilastri in posizione di crollo attraverso la strada, la statua dell’Ercole Epitrapezio in giacitura sul piano di calpestio del sacello, colonne in posizione di crollo con capitello ancora giustapposto

    Evoluzione quaternaria del bacino di Leonessa (Rieti)

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    Il bacino di Leonessa è una delle maggiori depressioni tettoniche intermontane dell’Appennino Centrale. A differenza dalle altre depressioni, disposte in direzione appenninica con la faglia bordiera principale sul lato orientale, il bacino è orientato in senso WNW - ESE ed ha la faglia bordiera principale sul suo margine sud-occidentale. Il più antico deposito di origine continentale che riempie la depressione non è affiorante ed è stato rinvenuto solo in alcuni sondaggi. E’ costituito da alternanze di sabbie-argillose e ghiaie (attribuite da GE.MI.NA. ad un generico Pliocene). I sedimenti affioranti sono stati distinti in sintemi. Quello stratigraficamente più basso è il Sintema di Villa Pulcini, costituito da un alternanza di argille, argille torbose, marne e sabbie argillose di ambiente deposizionale da lacustre a piana a canali intrecciati (braided plain), attribuibili alla parte alta del Pleistocene inferiore. Il Sintema di Villa Pulcini è parzialmente coperto dal Sintema di Leonessa, costituito da depositi di conoide alluvionale (conoide della Vallonina) a ovest e da depositi lacustri a est, ambedue contenenti, nella parte alta, intercalazioni di vulcaniti risedimentate. Il ritrovamento di un molare di M. (M.) trogontherii all’interno di depositi alluvionali consente di riferire al Galeriano (U.F. Slivia - ? U.F. Fontana Ranuccio) la porzione basale del sistema. I due sintemi precedenti sono coperti a tratti da sabbie e sabbie argillose rossastre (Sintema di Terzone), con spessore che raramente supera i 5 metri, ricche di elementi vulcanici rimaneggiati. Nella parte più meridionale del bacino, all’interno della profonda incisione del Fosso Tascino, sono localmente presenti due ordini di terrazzi alluvionali. Attualmente il Fosso Tascino mostra un tipico esempio di letto a canali intrecciati (braided), con una piana che supera i 100 m di larghezza. Nella zona di raccordo tra il versante NE del Monte Tilia e i Sintemi di Leonessa e di Terzone, sono stati riconosciuti due ordini di conoidi alluvionali sovrapposti, costituiti in prevalenza da sedimenti ghiaiosi con una minore componente sabbiosa, poggianti in discordanza sui sedimenti più antichi. La definizione degli eventi erosivo-deposizionali che hanno contraddistinto l’evoluzione del paesaggio nel bacino di Leonessa costituisce un passo ulteriore verso un più preciso inquadramento temporale dell’attività tettonica distensiva, del sollevamento regionale e dei cambiamenti climatici che hanno portato all’attuale assetto geomorfologico dell’Appennino Centrale

    Optimized modeling and design of a pcm-enhanced h2 storage

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    Thermal and mechanical energy storage is pivotal for the effective exploitation of renewable energy sources, thus fostering the transition to a sustainable economy. Hydrogen-based systems are among the most promising solutions for electrical energy storage. However, several technical and economic barriers (e.g., high costs, low energy and power density, advanced material requirements) still hinder the diffusion of such solutions. Similarly, the realization of latent heat storages through phase change materials is particularly attractive because it provides high energy density in addition to allowing for the storage of the heat of fusion at a (nearly) constant temperature. In this paper, we posit the challenge to couple a metal hydride H-2 canister with a latent heat storage, in order to improve the overall power density and realize a passive control of the system temperature. A highly flexible numerical solver based on a hybrid Lattice Boltzmann Phase-Field (LB-PF) algorithm is developed to assist the design of the hybrid PCM-MH tank by studying the melting and solidification processes of paraffin-like materials. The present approach is used to model the storage of the heat released by the hydride during the H-2 loading process in a phase change material (PCM). The results in terms of Nusselt numbers are used to design an enhanced metal-hydride storage for H-2-based energy systems, relevant for a reliable and cost-effective "Hydrogen Economy". The application of the developed numerical model to the case study demonstrates the feasibility of the posited design. Specifically, the phase change material application significantly increases the heat flux at the metal hydride surface, thus improving the overall system power density

    Herschel-Bulkley rheology from lattice kinetic theory of soft-glassy materials

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    We provide a clear evidence that a two species mesoscopic Lattice Boltzmann (LB) model with competing short-range attractive and mid-range repulsive interactions supports emergent Herschel-Bulkley (HB) rheology, i.e. a power-law dependence of the shear-stress as a function of the strain rate, beyond a given yield-stress threshold. This kinetic formulation supports a seamless transition from flowing to non-flowing behaviour, through a smooth tuning of the parameters governing the mesoscopic interactions between the two species. The present model may become a valuable computational tool for the investigation of the rheology of soft-glassy materials on scales of experimental interest.Comment: 5 figure

    Use of biochar-based cathodes and increase in the electron flow by pseudomonas aeruginosa to improve waste treatment in microbial fuel cells

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    In this paper, we tested the combined use of a biochar-based material at the cathode and of Pseudomonas aeruginosa strain in a single chamber, air cathode microbial fuel cells (MFCs) fed with a mix of shredded vegetable and phosphate buffer solution (PBS) in a 30% solid/liquid ratio. As a control system, we set up and tested MFCs provided with a composite cathode made up of a nickel mesh current collector, activated carbon and a single porous poly tetra fluoro ethylene (PTFE) diffusion layer. At the end of the experiments, we compared the performance of the two systems, in the presence and absence of P. aeruginosa, in terms of electric outputs. We also explored the potential reutilization of cathodes. Unlike composite material, biochar showed a life span of up to 3 cycles of 15 days each, with a pH of the feedstock kept in a range of neutrality. In order to relate the electric performance to the amount of solid substrates used as source of carbon and energy, besides of cathode surface, we referred power density (PD) and current density (CD) to kg of biomass used. The maximum outputs obtained when using the sole microflora were, on average, respectively 0.19 Wm(-2)kg(-1) and 2.67 Wm(-2)kg(-1), with peaks of 0.32 Wm(-2)kg(-1) and 4.87 Wm(-2)kg(-1) of cathode surface and mass of treated biomass in MFCs with biochar and PTFE cathodes respectively. As to current outputs, the maximum values were 7.5 Am-2 kg(-1) and 35.6 Am(-2)kg(-1) in MFCs with biochar-based material and a composite cathode. If compared to the utilization of the sole acidogenic/acetogenic microflora in vegetable residues, we observed an increment of the power outputs of about 16.5 folds in both systems when we added P. aeruginosa to the shredded vegetables. Even though the MFCs with PTFE-cathode achieved the highest performance in terms of PD and CD, they underwent a fouling episode after about 10 days of operation, with a dramatic decrease in pH and both PD and CD. Our results confirm the potentialities of the utilization of biochar-based materials in waste treatment and bioenergy production

    Cavitation inception of a van der Waals fluid at a sack-wall obstacle

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    Cavitation in a liquid moving past a constraint is numerically investigated by means of a free-energy lattice Boltzmann simulation based on the van der Waals equation of state. The fluid is streamed past an obstacle and, depending on the pressure drop between inlet and outlet, vapor formation underneath the corner of the sack-wall is observed. The circumstances of cavitation formation are investigated and it is found that the local bulk pressure and mean stress are insufficient to explain the phenomenon. Results obtained in this study strongly suggest that the viscous stress, interfacial contributions to the local pressure, and the Laplace pressure are relevant to the opening of a vapor cavity. This can be described by a generalization of Joseph's criterion that includes these contributions. A macroscopic investigation measuring mass flow rate behavior and discharge coefficient was also performed. As theoretically predicted, mass flow rate increases linearly with the square root of the pressure drop. However, when cavitation occurs, the mass flow growth rate is reduced and eventually it collapses into a choked flow state. In the cavitating regime, as theoretically predicted and experimentally verified, the discharge coefficient grows with the Nurick cavitation number

    Fagliazione normale attiva lungo il versante occidentale del Monte Morrone (Appennino Centrale, Italia)

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    L’Appennino Centrale è interessato da sistemi attivi di faglie normali potenzialmente responsabili di terremoti di elevata magnitudo (fino a 7). Alcuni forti terremoti storici avvenuti in questo settore di catena appenninica sono stati attribuiti all’attivazione di alcune di questi sistemi di faglia, mediante analisi paleosismologiche e il confronto fra la distribuzione del danneggiamento associato a tali eventi sismici e la distribuzione spaziale delle faglie attive. Ad alcune di queste strutture tettoniche attive, invece, non è possibile associare alcun evento sismico storico noti da catalogo e per questo esse vengono considerate come strutture sismogenetiche silenti. Pertanto, a queste faglie è comunemente attribuita un’elevata pericolosità sismica. Il presente studio è mirato a caratterizzare l’attività tardo-Quaternaria di una queste faglie silenti, nello specifico quella che borda il versante occidentale del Monte Morrone (nell’Appennino abruzzese), cercando di definirne 1) la cinematica, 2) il tasso di movimento e 3) la massima magnitudo attesa da un evento di attivazione. Le analisi (comprendenti rilevamento geologico, geomorfologico e strutturale, nonché datazioni al 14C e determinazioni tefrostratigrafiche) effettuate lungo l’espressione in superficie di questa struttura tettonica, costituita da due segmenti di faglia paralleli, orientati NW-SE, hanno permesso di confermare che essa è prevalentemente caratterizzata da una cinematica normale, con una minore componente obliqua sinistra. Tale cinematica sarebbe consistente con un’estensione orientata circa N 20°. Il tasso di movimento del segmento di faglia occidentale è stato definito mediante l’individuazioni di depositi (prevalentemente conoidi alluvionali), cronologicamente vincolati, dislocati dall’attività di tale segmento. Lo slip rate è risultato essere dell’ordine di 0.4±0.07 mm/anno. Per quanto concerne il segmento orientale, la sua attività tardopleistocenica – olocenica è indicata dalla dislocazione lungo di esso di depositi di versante attribuiti all’UMG. Tuttavia, la mancanza di sedimenti e/o morfologie coevi nel blocco di letto ha impedito di valutare il tasso di movimento di questo segmento. Tuttavia, le analisi geologico-strutturali effettuate, unite ad una revisione critica della letteratura disponibile sui modelli evolutivi dei sistemi di faglie normali, hanno permesso di ipotizzare per il segmento di faglia orientale uno tasso di movimento >0 ma inferiore a quello definito per il segmento occidentale, ossia <0.4±0.07 mm/anno. Questo consente di definire per l’intero sistema di faglie del Monte Morrone uno slip rate compreso fra 0.4±0.07 e 0.8±0.09 mm/anno. Infine, applicando le equazioni empiriche proposte da Wells e Coppersmith (1994) che legano la magnitudo momento e i) la lunghezza in superficie della struttura tettonica e ii) il rigetto (massimo e medio) per evento di attivazione – considerando un tempo di ricorrenza di circa 2000anni – è stato possibile definire che la massima magnitudo attesa da un terremoto originato lungo il sistema di faglie normali del Monte Morrone (lungo circa 23 km) è dell’ordine di 6.6-6.7
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